NELSON MANDELA
È il simbolo del Sudafrica, appellativo che si è conquistato
in un'intera vita spesa nella lotta contro l'apartheid e nella conquista della
libertà per il suo popolo. Quello che ha sempre colpito in lui è la sua statura
morale e la convinzione con cui ha vissuto la propria vita in favore degli
altri.
Figlio di un capo della tribù Thembu (e quindi, secondo il sistema di caste tribali vigente in Africa, di origini aristocratiche), Nelson Rolihlahla Mandela nasce il 18 Luglio 1918. Dopo aver seguito gli studi nelle scuole sudafricane per studenti neri conseguendo la laurea in giurisprudenza, nel 1944 entra nella politica attiva diventando membro dell'ANC (African National Congress), guidando per anni campagne pacifiche contro l’apartheid, ossia quel regime politico che favorisce, anche sul piano legale e giuridico, la segregazione dei negri rispetto ai bianchi.
Nel 1960 l'episodio che segnerà per sempre la vita del leader
nero. Il regime di Pretoria, durante quello che è conosciuto come "il massacro
di Shaperville", elimina volontariamente e con una proditoria operazione sessantanove
militanti dell'ANC. In seguito mette al bando l'intera associazione. Mandela,
fortunatamente, sopravvive alla strage e riesce a fuggire. Raccolti gli altri
esponenti rimasti in vita, costituisce una frangia militarista, decisa a
rovesciare il regime e a difendere i propri diritti con le armi. Arrestato nel
1963, dopo un procedimento durato nove mesi è condannato all'ergastolo.
La più alta testimonianza dell'impegno politico e sociale di
Mandela la ritroviamo proprio nel discorso pronunciato di fronte ai giudici del
tribunale, prima che questi emettessero il loro verdetto: “Sono pronto a pagare
la pena anche se so quanto triste e disperata sia la situazione per un africano
in un carcere di questo Paese. Sono stato in queste prigioni e so quanto forte
sia la discriminazione, anche dietro le mura di una prigione, contro gli Africani...
In ogni caso queste considerazioni non distoglieranno me né altri come me dal
sentiero che ho intrapreso. Per gli uomini, la libertà nella propria terra è
l'apice delle proprie aspirazioni. Niente può distogliere loro da questa meta.
Più potente della paura per l'inumana vita della prigione è la rabbia per le
terribili condizioni nelle quali il mio popolo è soggetto fuori dalle prigioni,
in questo Paese... Non ho dubbi che i posteri si pronunceranno per la mia
innocenza e che i criminali che dovrebbero essere portati di fronte a questa
corte sono i membri del governo”.
L'imputazione includeva il coinvolgimento nell'organizzazione
di azione armata, in particolare di sabotaggio (del cui reato Mandela si
dichiarò colpevole) e la cospirazione per aver cercato di aiutare gli altri
Paesi ad invadere il Sudafrica (reato del quale Mandela si dichiarò invece non
colpevole).
Per tutti i successivi ventisei anni Mandela fu sempre
maggiormente coinvolto nell'opposizione all'apartheid, e lo slogan "Nelson
Mandela Libero" divenne l'urlo di tutte le campagne anti-apartheid del
Mondo. Mentre era in prigione, Mandela riuscì a spedire un manifesto all'ANC,
pubblicato il 10 Giugno 1980. Il testo recitava: “Unitevi! Mobilitatevi! Lottate! Tra l'incudine delle azioni di
massa ed il martello della lotta armata dobbiamo annientare l'apartheid!”
Passano più di vent'anni e, malgrado il grande uomo sia
costretto alla segregazione carceraria, lontano dagli occhi di tutti e dalle
luci dell'opinione pubblica, la sua immagine e la sua statura crescono sempre
di più nell'immaginario della gente e degli osservatori internazionali. Il
regime lo tiene in gattabuia, ma è sempre lui il simbolo della lotta e la testa
pensante della ribellione. Nel febbraio del 1985, cosciente di questo stato di
cose e ben consapevole che ormai non si poteva più toccare un tale simbolo,
pena la ribellione di vasti strati dell'opinione internazionale, l'allora
presidente sudafricano Botha gli offre la libertà, purché rinneghi la
guerriglia. In realtà, l'accusa di sovversione armata, l'accenno alla
guerriglia, appunto, è solo un modo per gettare discredito sulla figura di
Mandela, prospettando il fatto che sia un personaggio predisposto alla
violenza. Ad ogni modo, Mandela rifiuta l'offerta, decidendo di restare in
carcere.
Nel
1990, su pressioni internazionali e in seguito al mancato
appoggio degli Stati Uniti al regime segregazionista, Mandela viene liberato.
Nel 1991 è eletto presidente dell'ANC. Nel 1993 è insignito del Premio Nobel
per la pace, mentre l'anno dopo, durante le prime elezioni libere del suo paese
(ossia le prime elezioni in cui potevano partecipare anche i neri), viene
eletto presidente della Repubblica del Sudafrica e capo del governo. Resterà in
carica fino al 1998.
Nella sua breve vita politica ufficiale ha dovuto subire anche un'altra logorante battaglia. Infatti
trentanove case farmaceutiche intentarono un processo a Nelson Mandela
portandolo in tribunale. L'accusa era quella di aver promulgato nel 1997 il
Medical Act, una legge che permetteva al Governo del Sudafrica di importare e
produrre medicinali per la cura dell'AIDS a prezzi sostenibili. A causa delle
proteste internazionali che tale causa ha sollevato, le suddette multinazionali
hanno poi deciso di desistere dal proseguire la battaglia legale.
Mandela è stato anche criticato per la sua
stretta amicizia con Fidel Castro e Muammar
Gheddafi, da lui chiamati "compagni in
armi". Anche la decisione di impegnare le truppe sudafricane per opporsi
al golpe del 1998 in Lesotho rimane una scelta controversa.
Mandela si è sposato tre volte. La prima moglie è stata Evelyn
Ntoko Mase, dalla quale ha divorziato nel 1957, dopo tredici anni di
matrimonio. Il suo secondo matrimonio con Winnie Madikizela è terminato con una
separazione nell'aprile 1992 ed il definitivo divorzio nel marzo 1996,
alimentato da forti contrasti politici. A ottant'anni Mandela ha poi sposato
Graça Machel, vedova di Samora Machel, presidente fondatore mozambicano e
alleato dell'ANC, morto in un incidente aereo quindici anni prima.
ATTIVITÀ
POLITICA
I primi passi verso una vita volta alla conquista della
libertà degli uomini Nelson Mandela li mosse nel 1940, all'età di ventidue anni,
quando, insieme al suo cugino Justice, fu messo di fronte al fatto di doversi
sposare con una ragazza scelta dal capo thembu Dalindyebo. Questa imposizione
di matrimonio obbligatorio era una condizione che né Mandela né il cugino
volevano tollerare. La scelta era molto delicata: o si sposava e andava contro
il suo massimo principio, cioè la libertà, oppure non si sposava mancando così
di rispetto alla sua tribù e alla sua famiglia. Così decise di scappare insieme
al cugino in direzione di Johannesburg, verso la città, la metropoli.
Da giovane studente di legge, Mandela fu coinvolto
nell'opposizione al minoritario regime sudafricano, che negava i diritti
politici, sociali, civili alla maggioranza nera sudafricana. Unitosi
all'African National Congress nel 1942, due anni dopo fondò l'associazione
giovanile Youth League, insieme a Walter Sisulu, Oliver Tambo ed altri. Dopo
la vittoria elettorale del 1948 da parte del Partito Nazionale, fautore di una
politica pro-apartheid di segregazione razziale, Mandela si distinse nella
campagna di resistenza del 1952 organizzata dall'ANC, ed ebbe un ruolo
importante nell'assemblea popolare del 1955, la cui adozione della Carta
della Libertà stabilì il fondamentale programma della causa anti-apartheid.
Durante questo periodo Mandela ed il suo compagno avvocato Oliver Tambo
fondarono l'ufficio legale “Mandela e Tambo” fornendo assistenza gratuita o a
basso costo a molti neri che sarebbero rimasti altrimenti senza rappresentanza
legale.
Inizialmente coinvolto nella battaglia di massa non violenta,
fu arrestato insieme ad altre centocinquanta persone il 5 Dicembre 1956, ed
accusato di tradimento. Seguì un aggressivo processo, durato dal 1956 al 1961,
al termine del quale tutti gli imputati furono assolti. Mandela ed i suoi
colleghi appoggiarono la lotta armata dopo l’uccisione di manifestanti
disarmati a Sharpeville nel marzo del 1960 e la successiva interdizione
dell'ANC e di altri gruppi anti-apartheid.
RITIRO DALLA
VITA POLITICA
Dopo aver abbandonato la carica di Presidente nel 1999,
Mandela ha proseguito il suo impegno e la sua azione di sostegno alle
organizzazioni per i diritti sociali, civili ed umani.
Ha ricevuto numerose onorificenze, incluso l'Order of St. John
dalla Regina Elisabetta II e la Presidential Medal of Freedom da George W. Bush.
Mandela è una delle due persone di origini non indiane (Madre
Teresa è l'altra) ad aver ottenuto il Bharat Ratna, il più alto riconoscimento
civile indiano (nel 1990).
A testimonianza della sua fama va ricordata la visita del 1998
in Canada, durante la quale allo Skydone di Toronto parlò in una conferenza a quarantacinquemila
studenti che lo salutarono con intensi applausi. Nel 2001 ha ricevuto l'Order
of Canada, ed è stato il primo straniero a ricevere la cittadinanza onoraria
canadese.
Nel giugno 2004, all'età di ottantacinque anni, Mandela ha
annunciato di volersi ritirare dalla vita pubblica e di voler passare il
maggior tempo possibile con la sua famiglia, finché le condizioni di salute
glielo avrebbero concesso.
Ha comunque fatto un'eccezione nel luglio 2004 confermando il
suo duraturo impegno nella lotta contro l'AIDS recandosi a Bangkok
per parlare alla XV Conferenza internazionale sull'AIDS.
Il 23 Luglio 2004, con una cerimonia tenutasi a Orlando,
Sowento, la città di Johannesburg gli ha conferito la più alta onorificenza
cittadina, il Freedom of the City, paragonabile alla consegna delle chiavi
della città.
Il 27 giugno 2008 a Londra, nell' Hyde Park, si è svolto un grande concerto per
ricordare i suoi novant'anni, il suo impegno nella lotta contro il razzismo e
il suo contributo alla lotta contro l'AIDS. A sorpresa Nelson Mandela ha voluto
essere presente al concerto, accolto da una straordinaria ovazione di circa cinquecentomila
persone. Ai lati del palco campeggiava il numero 46664, il numero che era
scritto sulla sua giubba durante la permanenza in carcere. Mandela ha
pronunciato un breve discorso in cui ha ribadito le ragioni del suo impegno civile
e politico, dopo aver ringraziato per la straordinaria manifestazione di
affetto e di rispetto nei suoi confronti.
ANATOLI MARCHENKO
Anatoly Tikhonovich
Marchenko (23 gennaio 1938 - 8 dicembre 1986) fu un influente e noto dissidente
sovietico, autore e attivista dei diritti umani. Fu il primo destinatario del
Premio Sakharov per la libertà di pensiero del Parlamento europeo, a lui
assegnato postumo nel 1988 (l'unico destinatario ad essere onorato in questo
modo fino ad oggi).
Inizialmente un lavoratore
su una banda di perforazione, e non di educazione o intellettuale di fondo, si iscrisse
alla vita politica dopo essere stato imprigionato con accuse inventate. Nel
1960, non vedendo nessun futuro per sé in URSS, provò a scappare oltre il
confine in Iran. Tuttavia fu catturato ad Ashkabad, poco distante dal confine,
e processato per tradimento (2 marzo 1961).
Dopo diversi mesi di
carcere, nel 1963 fu spostato in un campo di lavoro in Mordovia. Anche di lì
tentò di fuggire, ma senza successo.
Nel marzo 1966 sopravvisse ad
un attacco di meningite quasi senza cure mediche.
Durante il suo tempo trascorso
nei campi di lavoro coltivò studi e la lettura di un certo numero di opere
socio-politiche, tra cui quelle di Lenin, Marx e Engels. Egli conobbe anche vari
prigionieri politici e intellettuali dissidenti, tra cui Yuli Daniel, un
incontro che si sarebbe poi rivelato fatale per Marchenko.
Divenne noto per il suo
libro La mia testimonianza, un testo
autobiografico che descrive le sue esperienze nei campi di lavoro e in carcere, e che ha destato scalpore quando è
stato pubblicato in Occidente nel 1969, dopo essere stato censurato in Unione
Sovietica. Esso ha fatto conoscere ai lettori di tutto il mondo, compresa la
stessa Unione Sovietica, che i gulag sovietici non erano terminati con Stalin.
Marchenko divenne inoltre attivo
nel movimento dei diritti umani sovietico. Fu membro di un gruppo fondato nel
1975 per la campagna per la conformità con l'Atto finale di Helsinki, con
particolare riguardo alle clausole relative alla dimensione umana, alla
sicurezza e alla cooperazione.
Egli rivelò la verità sui
campi di lavoro sovietici e sulle prigioni, ma questo gli valse una pena
detentiva per l’agitazione e propaganda antisovietica: “L'unico modo per
combattere il male e l'illegalità prevalente è, a mio avviso, conoscere la
verità”.
Organizzò proteste e
ricorsi, e fu autore di una serie di lettere aperte. Per questo fu continuamente
perseguitato dalle autorità sovietiche.
Morì in prigione a Chistopol
all'età di 48 anni nel dicembre del 1986, dopo tre mesi di sciopero della fame per
la liberazione di tutti i prigionieri di coscienza sovietici.
La diffusione
internazionale della sua fama oltre la sua morte spinse infatti il Segretario
Generale Mikhail Gorbachev ad autorizzare su larga scala la liberazione dei
prigionieri politici nel 1987.
Jessica Beccati & Martina Vettorato